Si conclude così, con un bagno di folla durato poco meno di 10 minuti, il discorso di Matteo Renzi alla Leopolda. Il sindaco di Firenze ha chiarito che le sue non sono conclusioni, perché la Leopolda non si conclude, è un progetto in itinere, quindi non c’è da chiudere la tre giorni della kermesse, ma solo salutare e rimandare all’anno prossimo.
Già da stamattina presto, alle 9:30, quando si è iniziato senza neanche che il sindaco fosse arrivato, si è capito che quella di oggi sarebbe stata una giornata differente. La sala era piena alle 9:30, strapiena alle 10 e a mezzogiorno anche la sala accanto, allestita per sopperire la mancanza di posti in piedi e per allentare la tensione nella sala principale, strabordava. Se, come ha spiegato l’organizzatrice e deputata Maria Elena Boschi, nella giornata di ieri 7.800 persone si sono registrate ai banchi in entrata, oggi probabilmente erano il doppio, se non di più. C’è un’aria strana, elettrica e quel che mi ha colpita è stata la familiarità e l’affetto con cui si parlava del grande protagonista, “Matteo” per tutti, come se lo conoscessero da una vita: evidente segnale di un successo politico.

Si inizia come ieri, interventi brevi, 4 minuti al massimo di cittadini comuni mentre arrivano Franceschini (siede in disparte, non commenta e non sale sul palco) e Graziano Delrio che siede sul palco alla sinistra del sindaco, nel frattempo arrivato. Dura poco: alle 11:30 arriva sul palco il conduttore televisivo Pif, il cui programma su MTV lo tiene sconosciuto a qualche giornalista della sala stampa. Il suo discorso, breve ma cristallino, è forse il più politico dei discorsi ascoltati fino a quel momento. E’ stato un attacco chiarissimo a Rosy Bindi, nominata a capo della Commissione Antimafia e a Vladimiro Crisafulli (quello del “a Enna vinco col proporzionale, col maggioritario e anche per sorteggio”): applauditissimo. Segue Graziano Delrio, ex sindaco di Reggio Emilia e Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, che elogia i differenti tipi di intelligenze e la loro valorizzazione all’interno di un partito, la cui base deve essere consultata perché “protagonista”. Applausi anche in sala stampa e si prosegue con Baricco, in quello che ormai è un vero e proprio – studiatissimo – climax verso l’intervento del sindaco di Firenze. Lo scrittore sceglie come parola caratterizzante il suo intervento “tornare a casa” perché, secondo lui, il futuro può essere forgiato con una vera e propria rivoluzione culturale, necessaria in Italia.
Alle 12:05 inizia l’intervento di Matteo Renzi davanti ad un pubblico ormai incontenibile. Il candidato alla Segreteria del Partito Democratico non si tira indietro e parla di tutto: lavoro, educazione, legge elettorale e giustizia. Sono necessarie riforme, afferma, e prepara già all’appuntamento dell’anno prossimo, sempre alla Leopolda, quando il patto sottoscritto oggi tra il sindaco e il suo popolo verrà messo alla prova. Renzi parla di patto (ed i maligni immediatamente ricordano il Contratto con gli italiani di berlusconiana memoria nel 2001) perché sostiene che bisogna controllare se c’è la volontà per il superamento del bicameralismo perfetto con la trasformazione del Senato in Camera delle autonomie. Elenca una sfilza di riforme da fare, da quella del Titolo V a quella della legge elettorale (per renderla simile a quella di elezione dei sindaci, in cui si sa chi ha vinto e il prescelto ha i numeri per governare, garantendo stabilità nell’arco di una legislatura).Per i critici, il riferimento alla riforma della giustizia, per il sindaco di Firenze ritenuta necessaria, è un occhio strizzato all’elettorato di destra ma Renzi immediatamente ammonisce che sarebbe negli interessi dei cittadini e non si tratterebbe di giustizia ad personam.

Un duro colpo viene sferzato anche nei confronti dell’Europa, anch’essa “in mano all’inconcludenza della politica” e per la quale è necessario maggior vigore, con il servizio civile europeo incentivato e una seria politica estera comune (la scelta di Lady Ashton viene definita “un disastro”). Per quanto riguarda l’educazione, Renzi reputa necessario un cambiamento del sistema di formazione professionale, rendendolo simile a quello tedesco (come in sperimentazione in Emilia Romagna), ma allo stesso tempo “perché il PIL cresca c’è bisogno di partire dagli asili nidi e dalla scuola”, dalla formazione, più in generale. Ci si avvia verso le conclusioni, dopo quasi un’ora di discorso ripetutamente interrotto dagli scrosci degli applausi del pubblico ormai galvanizzato. Non risparmia frecciate Matteo Renzi, a destra come a sinistra, spiegando di non avere guru ma idee, e che la si deve smettere con i castelli costruiti sui renziani di prima o seconda generazione perché il lavoro dei politici – e suo – è al servizio del futuro e di un Paese delineato bene nelle sue necessità, in questi tre giorni di lavori. Un Paese in cui la parola leadership non deve spaventare, anche se quest’ultima sembra una precisazione inutile perché è chiaro che “Matteo” sia l’unico vero leader della Leopolda.

Iris De Stefano

Ultimi post di Iris De Stefano (vedi tutti)
- L’analfabetismo? Una piaga da 1.2 bilioni di dollari - 26/08/2015
- La legge è uguale per tutti (?) - 23/07/2015
- Rifiuti, ancora una condanna dall’UE, e intanto i roghi continuano - 17/07/2015
- Cina e religioni, un rapporto difficile - 03/07/2015
- Cina e USA, tra TTP e provocazione reciproca - 26/06/2015