La storia è molto affascinante, ma allo stesso tempo delicata. Alla fine dell’anno appena passato, alcuni neurochirurghi britannici iniziarono a notare alcuni strani sintomi in tre pazienti, di età compresa tra i 60 ed i 70 anni. Mal di testa, nausea, instabilità posturale, gambe deboli, svenimenti e bassa pressione arteriosa erano tutti sintomi comuni, associabili ad un fatto facilmente individuato con delle radiografie: due dispositivi medici (un pacemaker nel cuore ed una batteria nel cervello per controllare i tremori parkinsoniani) erano evidentemente stati posti troppo vicini e facevano interferenza l’uno con l’altro.
Dal celebre polmone d’acciaio alle macchine per dialisi, fino ai defibrillatori impiantabili, da decenni utilizziamo la tecnologia per sostenere il nostro organismo. Uno di questi casi è proprio la stimolazione profonda cerebrale, dove elettrodi e batterie sono impiantati nel cervello per aiutare pazienti con disturbi neurologici e psichiatrici. Una branca di neurochirurgia molto delicata, costosa e non adatta a tutti. Proprio per questo motivo negli anni è sorto un grande interesse attorno a metodi più economici e semplici di stimolazione cerebrale, come quelli in cui si applicano correnti elettriche o campi magnetici all’esterno del cranio.
Le riviste scientifiche da un po’ di tempo sono ricche di case report e studi sperimentali preliminari in cui si illustrano le capacità delle nuove tecnologie di aiutare persone con depressione, disordini dello spettro autistico, schizofrenia, disturbi ossessivo-compulsivi, dipendenza, ansia e problemi cognitivi. L’interesse è grande anche tra gli stessi pazienti, e spiega perché in poco tempo son sorte molte aziende che vendono prodotti di stimolazione online; insomma, un vero e proprio metodo di auto-medicazione high-tech.
Non tutto, però, è rose e fiori. Sulla stimolazione cerebrale c’è ancora molta strada da percorrere e gli studi devono fare la loro parte. Nel frattempo, molti neuroscienziati hanno già fatto scattare l’allarme su queste pratiche realizzate da persone in totale autonomia, sottolineandone la pericolosità nell’immediato, e possibili danni nel medio-lungo periodo. Accanto ai problemi di sicurezza, però, c’è anche una questione – forse più importante – di tipo etico. L’utilizzo della stimolazione cerebrale, infatti, inizia a non essere confinata solo ai pazienti “tradizionali”, ma si sta estendendo a gruppi di persone “sane” che farebbero uso di tali prodotti per migliorare le proprie abilità mentali. Persone che fondano tali considerazioni su studi scientifici che suggeriscono come correnti elettriche o campi magnetici possano incrementare le performance accademiche migliorando la memoria e l’attenzione o addirittura modificando il carattere.
Nell’ambito dello sport negli anni si è riuscita a tracciare (seppur soggetta a continue modifiche e revisioni) una linea chiara tra sostanze lecite e sostanze dopanti. Cosa succederà nell’ambito delle tecniche di miglioramento cognitivo nel momento in cui esse dovessero dimostrarsi efficaci? In che modo il mondo scientifico affronterà la questione a livello etico? Sicuramente è ancora troppo presto per poter rispondere a queste domande; con la stessa certezza, però, si può dire che non è tardi per iniziare a porsele.

Pasquale Cacciatore

Ultimi post di Pasquale Cacciatore (vedi tutti)
- Epidemia Zika: una sinergia tra virus? - 23/11/2016
- HIV – Addio alla leggenda del “Caso 0” - 10/11/2016
- La lotta all’antibiotico-resistenza? Ci pensa tazmania! - 24/10/2016
- Il vaccino contro il papilloma virus per gli uomini, traguardo per l’equità di genere - 19/09/2016
- La medicina dell’illusione - 09/05/2016